Rinsaldiamo legami profondi con Don Tonino Bello, Padre Davide Maria Turoldo e Padre Ernesto Balducci e tra di noi se riusciamo a condividere, al di là di quello trascorso, il tempo opportuno per comprendere ancora più in profondità la tenerezza e la radicalità del loro essere liberi e nello stesso tempo vincolati a una rigorosa onestà intellettuale. In questa nostra terra li abbiamo vissuti e con loro siamo cresciuti, attraverso la frequentazione e l’intensa affinità che ne è scaturita. Abbiamo gustato con loro il desiderio di concretizzare come comunità la convinzione che Dio è al centro, sconfiggendo ogni nostra debolezza, ”nella forza, non in relazione alla colpa e alla morte, ma nella vita e nel bene dell’uomo”. Il Dio dell’amicizia e dei nomi propri.
In questo tempo dobbiamo saper interpretare la tensione a un mondo nuovo, a una nuova identità dei credenti, che sappiano abbattere tutte le barriere, accogliere e condividere, essere “donne e uomini di senso” e non semplicisticamente del dissenso o del consenso. Uomini e donne, comunità con un’identità da spendere al di là di ogni confine, convenzione o convenienza.
Don Tonino, Padre Davide e Padre Ernesto non disdegnarono la salvezza temporale, aprendo le porte agli ultimi, affrontando le oscenità della guerra e la sopraffazione dei potenti. Lo fecero con la tenace semplicità del viandante, di chi è in cammino con una sola bisaccia e ovunque questo avvenga.
L’uomo planetario, il maniaco di Dio e il sognatore di Dio hanno così disegnato l’oltre: non ci può essere impedimento alla fratellanza né alla infinita pervavisività dell’amore. Lo hanno fatto con la forza della passione, con l’esondazione della luce nella potenza delle parole e della poesia, provando senza incertezza o compromesso che talvolta “Dio è voce, talora di silenzio ma sottile, talora come suono interiore cha parla in me”.
Facendo memoria di tre voci, profonde e cristalline, si può scorgere il segno della profezia: “In ogni caso, alla chiamata divina non c’è scampo: da quando arriva bisogna diventare e fare i profeti. La vocazione è tiranna, invasiva – parla da dentro e da fuori.” E profeta è che sa leggere la storia passata e l’empito nel presente per farne una nuova, anche nelle urgenze del tempo, quando ci sono sempre “gli amici a fare corona”.
La civiltà della tenerezza
La salvezza temporale, l’uomo planetario Balducci
È qui, su questo limitare fra il passato e il futuro, che mi è possibile, senza niente rinnegare di ciò che sono, intuire una mia nuova identità di credente. L’uomo planetario è l’uomo postcrstiano, nel senso chetà non si adattano a lui determinazioni che lo separino dalla comune degli uomini. Liberata dalle sue obiettivazioni ontologiche e restituita alla sua dinamica esistenziale, che cosa è l’Incarnazione se non un’immersione di Dio nell’umano in virtù dell’amore che di Dio è la stessa essenza?
[…] È vicino il giorno in cui si comprenderà che Gesù di Nazareth non intese aggiungere una nuova religione a quelle esistenti ma, al contrario, volle abbattere tutte le barriere che impediscono all’uomo di essere fratello dell’uomo e specialmente all’uomo più diverso, più disprezzato. Egli disse: quando sarò sollevato da terra, attirerò tutti a me. Non prima, dunque, ma proprio nel momento in cui, sollevato sulla croce, egli entrò nell’angoscia ed emise il suo spirito, spogliato di tutte le determinazioni. Non era più, allora, né di razza semitica, né ebreo, né figlio di David. Era universale, com’è universale la qualità che in quell’annullarsi divampò: l’amore per gli altri fino all’annientamento di sé. […]
Ernesto Balducci, L’uomo planetario, Giunti, Firenze 2005.
Sono interventi che mirano a sottolineare “la sua visione di una società futura quale comunità planetaria, in cui potessero convivere tutte le diverse identità, etniche, culturali e religiose, nella consapevolezza comune della necessità storica che l’umanità dovesse farsi interprete e soggetto responsabile di questa transizione culturale, a partire da una rinnovata disponibilità all’incontro ed alla convivenza con l’Altro” (p.6).
Padre Ernesto Balducci, Dobbiamo vivere insieme. Scritti sull’Islam e sull’immigrazione, Mauro Pagliai Editore, Livorno 2016. Il libro raccoglie scritti a partire dal 1985 fino al 1992, anno della morte di Balducci.
Ma ora voglio parlare del Balducci pellegrino, itinerante. Non per viaggi in terre lontane: quelli, in qualche misura, egli non li sentiva necessari. La sua cultura, la sua insaziabile fame di culture altre e di notizie significanti, la vastità della sua erudizione, la capacità di manovrare una sterminata biblioteca (che non stava tutta negli scaffali ma anche nella sua prodigiosa memoria) gli rendevano possibile raggiungere i luoghi più alti e drammatici della storia umana: senza muoversi dalla Badia, Balducci scendeva fra le immense folle radunate da Gandhi lungo le rive del Gange, o saliva i sentieri scoscesi delle Ande percorsi dalle torme dei conquistadores ossessionati dalla smania dell’oro; camminava idealmente sulle strade silenziose dell’Umbria, con Francesco e con Chiara; e in tutti questi cammini non avanzava soltanto con l’acume e la scienza interpretativa ma anche con la capacità di cogliere le sofferenze
TUROLDO
Turoldo, il fuoco della tenerezza di Dio
di Sergio Di Benedetto | 20 novembre 2016
Cominciava ad abitare il mondo il 22 novembre 1906. Cento anni dopo si conclude il Giubileo straordinario della misericordia: finisce ma non si chiudono le porte della compassione di Dio, di cui lui fu cantore fine e ardente, infuocato e indomito.
Nasceva il 22 novembre di cento anni fa una delle figure più complesse, scomode e anche profetiche del cattolicesimo italiano: David Maria Turoldo, frate servita e poeta, sacerdote appassionato di Dio e dell’uomo. Percorrere la vita di Turoldo significa percorrere un tratto della strada della fede nel nostro paese, una fede matura, con i suoi doni, le sue inquietudini, i suoi limiti anche. Ma soprattutto con il suo coraggio e la sua generosità.
Guardare a Turoldo significa incrociare Camillo De Piaz e Giorgio La Pira, Zeno Saltini e Primo Mazzolari, Giovanni Battista Montini e Carlo Maria Martini. Guardare a Turoldo significa però, soprattutto, guardare alla Parola, che nel suo carisma egli spezzava, predicando, traducendo e componendo.
Poeta grande, che sentiva sulle labbra e nella penna il peso bruciante del Verbo, che diveniva scintilla della sua più profonda, vera e quindi umanissima inquietudine, del suo sacro, duro e quindi umanissimo amore, ai compagni di strada e al Compagno della vita.
Turoldo cominciava ad abitare il mondo il 22 novembre 1906. Cento anni dopo si conclude il Giubileo straordinario della misericordia: finisce ma non si chiudono le porte della compassione di Dio, di cui David Maria fu un cantore fine e ardente, infuocato e indomito.
Ricordiamolo con la sua traduzione del Salmo 51, penitenziale ma al tempo stesso così fiducioso nell’amore che muove le «viscere» di Dio e la sua «infinita tenerezza», un Dio che «lascia parlare la pietà», un Dio che, come ci ricorda il Vangelo di oggi, spalanca le porte del Paradiso a un malfattore moribondo.
Pietà di me, o Dio, pietà
secondo la tua infinita tenerezza,
per quanto le viscere hai ricolme d’amore
cancella le mie infedeltà,
lavami e raschia via la mia colpa,
fammi mondo dal mio peccato.
Le mie trasgressioni io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre davanti.
Contro te, contro te solo ho peccato,
quanto è male ai tuoi occhi ho commesso:
tu, sempre giusto nelle tue sentenze,
lascia parlare la tua pietà.
Ecco, nella colpa sono stato generato,
peccatore mi concepì mia madre;
ecco, è la sincerità del cuore che tu ami,
per cui fino all’intimo sono da te
ammaestrato.
Purificami con l’issopo e sarò mondato,
lavami e sarò più bianco della neve.
Ridammi ancora gioia e letizia,
esultino le ossa che hai frantumate.
Distogli il tuo volto dal mio delitto,
dalle radici estirpa ogni colpa.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito forte.
Non cacciarmi dalla tua presenza,
non privarmi del tuo santo spirito.
Ridammi la gioia di essere salvo,
mi regga ancora uno spirito grande.
Insegnerò le tue vie ai ribelli
e i peccatori a te torneranno.
Liberami dalla sentenza di morte,
Dio, o Dio mio salvatore,
e griderà la mia lingua
alla tua giustizia.
Signore, apri tu le mie labbra,
la mia bocca acclamerà la tua lode.
poiché le vittime tu non gradisci,
ne vuoi in dono alcun sacrificio:
uno spirito pentito
è il sacrificio perfetto,
un cuore contrito e umiliato, o Dio,
questa l’offerta che tu non rifiuti.
Nel tuo amore fa’ grazia per Sion,
le mura rialza di Gerusalemme.
Le giuste offerte allor gradirai,
l’olocausto e la totale oblazione:
allora sante saranno le vittime.
DON TONINO BELLO
La forza dell’amore, la tenerezza dei popoli, la rivoluzione della tenerezza
Antonio Facchini