Testo che Enrico Peyretti ha letto in sintesi nella manifestazione in Piazza Carignano, Torino, la sera del 5 agosto 2018, nell’anniversario del crimine di Hiroshima.
Scriveva Ernesto Balducci (in La pace, realismo di un’utopia, Ed. Principato, 1985, pp. 4-5):
La prima verità contenuta nel messaggio di Hiroshima è che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verità intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l’immagine eurocentrica della storia, essa si è dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione più recente e più organica è quella del Rapporto Brandt (Rapporto sullo sviluppo globale, edito nel 1980 sotto il titolo Nord/Sud). L’unità del genere umano è ormai una verità economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non è il Sud a dipendere dal Nord ma è il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco è resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud è sottoposto e poi, più specificamente, perché esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l’aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell’ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l’appunto, nel solo anno 1979. E più comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non è un prodotto fatale dell’avarizia della natura o dell’ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un’immensa quota dei profitti nell’industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioè 10 volte di più del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno più la coscienza tranquilla.
La seconda verità di Hiroshima è che ormai l’imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, è arrivato a coincidere con l’istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell’aggressività distruttiva. Fino ad oggi è stato un punto fermo che la sfera della morale e quella dell’istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un’ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell’istinto di conservazione (di cui la paura è un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualità.
La terza verità di Hiroshima è che la guerra è uscita per sempre dalla sfera della razionalità. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l’hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioè come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini, l’accadimento funesto generava l’avvenimento fausto. Ma ora, nell’ipotesi atomica, l’accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, l’avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell’accadimento”.